Intervista a Gianfranco Amato (Giuristi per la Vita) sugli opuscoli UNAR

In un mio recente post ho condiviso i documenti realizzati per conto dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) intitolati “Educare alla diversità a scuola”. In quel post non ho aggiunto alcun commento. Lo faccio ora, pubblicando il testo integrale di una mia intervista all’avvocato Gianfranco Amato, presidente del “Giuristi per la Vita” che ho raccolto per conto del settimanale “Vita Nuova” di Trieste” in edicola il 21 febbraio 2014.

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Su queste pagine (Vita Nuova ndr) diamo notizia della campagna anti-omofobia prevista nelle scuole che è giunta alla fase di formazione del personale didattico. Questa campagna rientra nella “Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015)”. Abbiamo voluto sentire da un legale le sue impressioni sui testi predisposti dall’UNAR in collaborazione con l’Istituto A. T. Beck. A rispondere alle nostre domande l’avvocato Gianfranco Amato, presidente dei “Giuristi per la Vita” ed autore del libro: “Omofobia o eterofobia? Perchè opporsi a una legge ingiusta e liberticida“.

Cosa pensa di quanto contenuto negli “opuscoli” distribuiti dall’UNAR, in particolare per quanto riguarda le definizioni di omofobia. Questo perché la stessa proposta di legge Scalfarotto non definisce l’omofobia, mentre nei documenti si dice, ad esempio, che esiste “un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato”. Quali conseguenze ne derivano? Sarà “vietato”, ad esempio, insegnare nelle scuole il VI comandamento?

Girano da qualche tempo gli opuscoli intitolati “Educare alla diversità a scuola”, rispettivamente per la scuola primaria, per la scuola secondaria di primo grado, e per quella di secondo grado. Si tratta delle “Linee-guida per un insegnamento più accogliente e rispettoso delle differenze”, il cui contenuto è suddiviso in quattro capitoli: 1. Le componenti dell’identità sessuale; 2. Omofobia: definizione, origini e mantenimento; 3. Omofobia interiorizzata: definizione e conseguenze fisiche e psicologiche; 4. Bullismo omofobico: come riconoscerlo e intervenire. A farli predisporre è stato l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR), organismo del Dipartimento delle Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri

In quegli opuscoli dell’UNAR, un lettore distratto potrebbe ravvisarvi, come dicevamo, la solita perniciosa proluvie di deliranti farneticazioni omosessualiste, capaci di raggiungere, a tratti, livelli tragicomici: «Nell’elaborazione di compiti, inventare situazioni che facciano riferimento a una varietà di strutture familiari ed espressioni di genere. Per esempio: “Rosa e i suoi papà hanno comprato tre lattine di tè freddo al bar. Se ogni lattina costa 2 euro, quanto hanno speso?”» (pag. 6). Una più attenta lettura riesce, invece, a far percepire tratti assai più inquietanti sotto il profilo della libertà religiosa.

Mi riferisco al passo in cui testualmente si afferma che «i tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo», e che «appare evidente come maggiore risulta ilgrado di cieca credenza nei precetti religiosi, maggiore sarà la probabilità che un individuo abbia un’attitudine omofoba». Si prosegue su questa scia sostenendo che «l’omofobia continua a essere rinforzata nell’interazione quotidiana con altri individui omofobi, nella ricezione costante di messaggi omofobi, subliminali o espliciti, da parte di istituzioni o e organizzazioni religiose». Qualora non si fosse capito bene gli opuscoli sono più espliciti: «Per essere più chiari, vi è un modello omofobo di tipo religioso, che considera l’omosessualità un peccato». Non manca neppure la condanna del pregiudizio omofobo «Un pregiudizio diffuso nei paesi di natura fortemente religiosa secondo cui il sesso vada fatto solo per avere bambini», con la conseguenza che «tutte le altre forme di sesso, non finalizzate alla procreazione, sono da ritenersi sbagliate».

A questo punto occorre capire se il concetto di omofobia che hanno in mente i signori dell’UNAR – che ricordiamo essere un organismo del Governo italiano guidato da Enrico Letta – è quello che si trova scritto nelle linee-guida operative. Poiché così pare, bisogna avere il coraggio di professare la propria fede. Se essere omofobo significa «considerare l’omosessualità un peccato», il sottoscritto si autodenuncia, dichiarando pubblicamente ai funzionari dell’UNAR di essere un omofobo. Se essere omofobo significa sostenere che «il sesso va fatto solo per avere bambini», allora il sottoscritto si autodenuncia, dichiarando pubblicamente ai funzionari dell’UNAR di essere un omofobo. Se essere omofobo significa «credere ciecamente nei precetti religiosi» della Chiesa cattolica, allora il sottoscritto si autodenuncia, dichiarando pubblicamente ai funzionari dell’UNAR di essere un omofobo. E continuerà a dichiararlo fino a quando non busseranno alla porta gli agenti dell’OSCAD (Osservatorio per la Sicurezza contro gli Atti Discriminatori), la nuova forza di polizia istituita nel 2010 per combattere l’omofobia. E se in questo nostro bislacco Paese davvero dovesse essere introdotto il reato di omofobia, il sottoscritto è pure disposto ad affrontare l’ipotesi di essere recluso nelle patrie galere. Forse saremo chiamati a difendere la fede a costo della libertà personale, anche se questo non significa necessariamente un danno. La persecuzione, del resto, è sempre stata una condizione per far rifiorire il cristianesimo.

Crede sia opportuno che la Presidenza del Consiglio, nel cui ambito agisce l’UNAR, ritiri i documenti?

Su mia personale sollecitazione il senatore Carlo Giovanardi ha presentato un’interpellanza parlamentare, sottoscritta anche dai senatori Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi. Nell’interpellanza, tra l’altro, si chiede espressamente quale “quali iniziative intenda intraprendere per bloccare la distribuzione di questo materiale nelle scuole”. Vedremo cosa risponderà in governo. In questa vicenda debbo onestamente dare atto della pronta e convinta disponibilità ad intervenire da parte del senatore Giovanardi.

Lo scorso dicembre lei ha diffidato tutte le competenti Amministrazioni Pubbliche dall’adozione di atti e provvedimenti che diano attuazione al documento Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015). Ci può spiegare le motivazioni che hanno portato a tale diffida e quali risultati si aspetta dalla stessa?

Il documento Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015):

  1. espropria la famiglia – ambito privilegiato e naturale di educazione – del compito di formazione in campo sessuale, disconoscendo il fatto che la stessa famiglia rappresenti l’ambiente più idoneo ad assolvere l’obbligo di assicurare una graduale educazione della vita sessuale, in maniera prudente, armonica e senza particolari traumi;
  2. si pone in palese violazione di due diritti fondamentali riconosciuti, garantiti e tutelati dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: l’art.18, il quale garantisce la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, i propri valori religiosi nell’educazione, e l’art.26 nella parte in cui attribuisce ai genitori il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli;
  3. si pone in palese violazione dell’art.30 della Costituzione italiana che garantisce e tutela il diritto dei genitori ad educare i propri figli, nonché delle disposizioni del codice penale in materia, e di tutte quelle che pongono quale limite per qualsiasi atto, privato o pubblico, il principio del buon costume;
  4. è stato adottato omettendo la consultazione di tutte le parti sociali interessate, con specifico riguardo ai genitori ed ai docenti, violando in tal modo non solo il principio ribadito all’interno dello stesso documento (pag.16) e relativo alla necessità di un coinvolgimento di «tutti gli attori della comunità scolastica, in particolar modo le seguenti categorie: gli studenti, i docenti e le famiglie», ma anche il principio previsto nella stessa Raccomandazione CM/Rec(2010)5 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, — di cui è emanazione –, nella parte in cui invita espressamente gli Stati membri a «tenere conto del diritto dei genitori di curare l’educazione dei propri figli» nel «predisporre e attuare politiche scolastiche e piani d’azione per promuovere l’uguaglianza e la sicurezza e garantire l’accesso a formazioni adeguate o a supporti e strumenti pedagogici appropriati per combattere la discriminazione» (Allegato VI Istruzione, n.31); in realtà, come si evince dal decreto di costituzione del Gruppo Nazionale di Lavoro emanato in data 20 dicembre 2012 nessuna associazione familiare o associazione professionale dei docenti è stata coinvolta, mentre si è ritenuto di limitare la partecipazione al gruppo di lavoro a ben ventinove associazioni LGBT:
  5. non ha neppure tenuto conto del diritto dei genitori alla «corresponsabilità educativa» previsto dalle “Linee di Indirizzo sulla Partecipazione dei Genitori e Corresponsabilità Educativa”, diramate dal Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca il 22 novembre 2012, il quale, peraltro, partecipava a pieno titolo al Tavolo di Coordinamento Interistituzionale appositamente attivato per la stesura dello documento Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere (2013-2015);
  6. non ha tenuto in alcun conto le puntuali contestazioni formulate da FORAGS (Forum Regionale Genitori Scuola) lombardo con lettera del 15 aprile 2013 e del FONAGS (Forum Nazionale Genitori Scuola) al Ministro Carrozza con lettera del 12 novembre 2013;
  7. non è stato sottoposto alla valutazione ed al dibattito parlamentare;
  8. è stato adottato successivamente alle dimissioni del Governo ed in regime di ordinaria amministrazione, dopo, peraltro, che il Governo precedente aveva espressamente ritenuto di non assumere alcun provvedimento per recepire la Raccomandazione del Consiglio Europeo del 31 marzo 2010.

Quello che ci aspettiamo è che non vengano adottati provvedimenti attuativi delle sciagurate linee guida emanate dall’UNAR.

Se le chiedessero un giudizio sulla “proposta di Legge Scalfarotto” lei come risponderebbe?

Risponderei così:
1) Le norme in discussione si inquadrano in una mera prospettiva ideologica, del tutto inutile sul piano legale, poiché gli omosessuali e i transessuali già godono degli strumenti giuridici previsti dal codice penale per i tutti i cittadini, contro qualunque forma di ingiusta discriminazione, di violenza, di offesa alla propria dignità personale. Ogni individuo, infatti, in quanto tale è protetto dal sistema penale di fronte a qualsiasi azione lesiva. Per quando riguarda, in particolare, la tutela da qualunque forma di discriminazione, l’art.3 della Costituzione italiana recita testualmente che «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Sesso e condizioni personali sono quindi già contemplati dalla Costituzione come elementi specifici rispetto ai quali non sono ammissibili forme di discriminazione. E solo frutto di una prepotente campagna di mistificazione della realtà come si è detto, l’idea che sussista oggi nel nostro Paese una condizione di discriminazione tale da giustificare una specifica – e quindi privilegiata – tutela giuridica, in ragione di scelte sessuali personali e arbitrarie.

2) Le fattispecie di reato delineate nel disegno di legge in discussione sono accomunate dal fatto di porre omosessualità e transessualità quali valori collettivi da tutelare in sé, attraverso una tutela speciale per i soggetti che ne sono portatori, al di là di quella che il sistema penale assicura a qualunque comune cittadino. Appare del tutto evidente che siamo di fronte ad una proposta assurda, oltre che giuridicamente infondata, perché analoga protezione potrebbe essere invocata da una serie infinita di soggetti in ragione di proprie condizioni personali, quali quelli di essere cultori di caccia e pesca, di essere obesi, fumatori, di appartenere a tifoserie calcistiche, di essere amanti del gioco d’azzardo e delle corse di cavalli, oppure magari anche cattolici ortodossi e praticanti. Appare a tal proposito del tutto pertinente la domanda posta da Piero Ostellino, un giornalista di estrazione laica e liberale, in un controverso editoriale pubblicato dal Corriere della Sera: «Non riesco a capire perché picchiare un omosessuale sarebbe un’aggravante, mentre picchiare me — che sono “solo” un essere umano senza particolari, selettive e distintive, qualificazioni sessuali — sarebbe meno grave. Picchiare qualcuno è un reato. Punto, basta e dovrebbe bastare». In mancanza di reali esigenze concrete, qualunque ampliamento delle garanzie giuridiche già esistenti produrrebbe l’effetto paradossale di sconvolgere e rovesciare l’ordine etico della società umana. Infatti, l’inevitabile punto di approdo di qualunque intervento normativo –com’è già avvenuto in altri Paesi europei – è costituito dal matrimonio omosessuale, dall’adozione di bambini da parte di coppie omosessuali, nonché dalla loro “produzione” attraverso la pratica della maternità surrogata.

3) Le norme che si intendono approvare mirano, in realtà, ad introdurre attraverso la forza pedagogica della legge, l’idea che eterosessualità ed omosessualità siano condizioni naturali paritarie, anzi che l’omosessualità meriti un plusvalore a livello giuridico, un quid aggiuntivo a livello di tutela legale rispetto all’eterosessualità;

4) La legge in discussione al Senato introduce una nuova figura di reato su un presupposto – il concetto di “omofobia” e “transfobia” – che non viene definito. L’omofobia e la transfobia, infatti, non sono patologie conosciute dalla scienza medica. Nessuna legge dell’ordinamento giuridico italiano definisce i concetti di omofobia e transfobia. Nessun magistrato in nessun provvedimento giudiziale ha mai definito il concetto di omofobia e transfobia. In assenza di un’espressa definizione normativa di tale concetto, il rischio che si corre è quello di creare una sorta di “reato giurisprudenziale”, il cui contenuto precettivo verrà rimesso all’autorità giudiziaria chiamata a pronunciarsi sul singolo caso, con buona pace del principio di oggettività del reato. Il punto è che negli Stati di diritto a impronta liberale il cittadino deve sempre conoscere preventivamente quali sono le conseguenze del suo comportamento, soprattutto se queste possono determinare effetti di carattere penale. Il contrario è tipico degli stati totalitari e dittatoriali. E’ noto l’esempio del famigerato e indefinito “reato di attività antisocialista” vigente nell’ex Unione Sovietica.

5) In gioco non c’è soltanto la libertà religiosa ma la stessa libertà di opinione, poiché la proposta di legge, così come formulata, non potrà non avere gravi ripercussioni sui diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla nostra Costituzione, tra cui il diritto alla libertà di pensiero (art.21) e alla libertà religiosa (art.19).

6) La legge in discussione al Senato si pone in contrasto con un altro principio fondamentale del nostro ordinamento giuridico. Questo, infatti, non prevede che si possa essere puniti per un fattore puramente interiore, indeterminato e indeterminabile, quale il motivo che muove l’azione. I motivi sono rilevanti soltanto come circostanze e servono per graduare la pena. Se così non fosse, ci troveremmo nell’orizzonte di quel diritto penale che non punisce tanto il fatto quanto l’atteggiamento soggettivo, e che ha tristemente caratterizzato i regimi totalitari nella loro esiziale opera di controllo delle coscienze e di imposizione dell’ideologia di Stato. Infatti, solo la legge penale che punisce i fatti lesivi, le azioni dell’uomo e non la loro matrice psicologica, pur utile in certe circostanze a colorare le modalità dell’azione e quindi a misurare la gravità del reato, pone il singolo al riparo dalla invasione del potere pubblico nella propria sfera intima e da ogni possibile arbitrio.

7) Un altro degli errori di fondo contenuti nella proposta di legge in discussione è il fatto di aver utilizzato per la – ingiustificata – tutela di omosessuali e transessuali lo strumento normativo della cosiddetta legge Mancino, recante misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica e religiosa, ovvero la legge italiana che condanna gesti, azioni e slogan legati all’ideologia nazifascista, e aventi per scopo l’incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali.
La ratio delle norme della legge Mancino, in realtà, è quella di assicurare la convivenza pacifica tra gruppi divisi da forti sistemi di pensiero anche religioso. Ed è in omaggio a questo interesse superiore che anche la limitazione della libertà di manifestazione del pensiero può invocare qualche giustificazione. Mentre tutt’altra valutazione spetta ai reati commessi per motivi di «omofobia» e «transfobia», che non trovano alcun fondamento né in una diffusa ostilità capace di creare un clima oggettivamente persecutorio, né in una situazione di obiettivo svantaggio da ricomporre. Semmai una sorta di successo mediatico, alimentato dalla sapiente orchestrazione, ha posto paradossalmente il fenomeno omosessuale al centro dell’interesse politico e lo ha imposto ad una società culturalmente sempre più disarmata.

8) Con le nuove norme in discussione al Senato potrà essere considerato comportamento omofobo punibile penalmente anche quello di un privato cittadino che pubblicamente sostenga che è giusto impedire agli omosessuali e ai transessuali l’accesso al diritto di sposarsi e a quello di adottare minori; che l’omosessualità rappresenta una «grave depravazione», citando le Sacre Scritture della religione cristiana (Gn 19,1-29; Rm 1,24-27; 1 Cor 6,9-10; 1 Tm 1,10), o che gli atti compiuti dagli omosessuali sono «intrinsecamente disordinati», «contrari alla legge naturale», poiché «precludono all’atto sessuale il dono della vita e non costituiscono il frutto di una vera complementarietà affettiva e sessuale» (art. 2357 Catechismo cattolico); che omosessualità e transessualità appartengono oggettivamente alla sfera etico-morale, e possono quindi essere sottoposte ad un giudizio di riprovazione; che vi sono ambiti nei quali non può considerarsi ingiusta discriminazione il fatto di tener conto della tendenza sessuale (per esempio nell’adozione o nell’affidamento di minori).

9) Non va peraltro dimenticato l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione (Sez. I, n. 47894 del 22 novembre 2012), che ha ritenuto di qualificare come «propaganda» ai sensi della Legge Manciano la semplice esternazione pubblica di un’idea, ribaltando entrambe le sentenze di primo e secondo grado, che avevano, invece, dato della norma un’interpretazione tale da evitare una compressione eccessiva della libertà di manifestazione del pensiero.

10) Includere l’orientamento sessuale fra le considerazioni sulla base delle quali è illegale discriminare può facilmente portare a ritenere l’omosessualità quale fonte positiva di diritti umani, ad esempio, in riferimento alla cosiddetta “affirmative action”, ovvero lo strumento politico che mira a ristabilire e promuovere principi di equità razziale, etnica, di genere, sessuale e sociale. In altre parole, nel momento in cui si riconosce che la categoria degli omosessuali e transessuali è stata ingiustamente discriminata al punto da meritare una privilegiata tutela giuridica, occorre rimediare agli effetti della discriminazione attraverso misure compensative, quali ad esempio quote riservate. E’ ciò che è successo con gli afroamericani negli USA. Gli obiettivi della affirmative action sono raggiunti, normalmente, attraverso quote riservate nelle assunzioni, nelle cariche istituzionali, nell’assegnazione di alloggi pubblici, nell’erogazione di servizi e così via. Già qualcuno comincia a parlare di “quote viola”, in analogia rispetto quanto accaduto con le cosiddette “quote rosa”.

11) Non regge l’eccezione introdotta nelle norme in discussione al Senato per cui «non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all’odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all’interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all’attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni». Dal che si deduce che la manifestazione di idee omofobiche d’ora in poi sarà punita soltanto in ambito domestico, nelle assemblee condominiali, allo stadio e negli stabilimenti termali. Non occorre, del resto, possedere le formidabili capacità premonitrici di Nostradamus per capire che l’eccezione prevista nel disegno di legge non scamperà alla mannaia inesorabile della Corte Costituzionale. La discriminazione non può funzionare a corrente alternata: o è, o non è. E non si può neppure pensare che un comportamento sia considerato reato se posto in essere da un singolo, mentre sia ritenuto perfettamente lecito nel caso in cui il singolo si associ con altri.

12) Problemi non meno gravi di compatibilità con l’intero sistema normativo pone anche la previsione nelle norme che si intendono approvare al Senato, della aggravante contemplata nella legge Mancino, estesa a tutti i reati «puniti con pena diversa da quella dell’ergastolo», se commessi per motivi di omofobia o transfobia. Una pennellata di arcobaleno a tutto il nostro codice penale. Ora, occorre precisare che le circostanze aggravanti, così come le attenuanti, incidono sulla gravità del reato (e di conseguenza sulla entità della pena concretamente inflitta), o perché il fatto risulta oggettivamente più o meno grave (es. la speciale tenuità del danno patrimoniale nei delitti contro il patrimonio), o perché nell‘azione si riflette il sostrato psichico che l’ha mossa (es. motivi futili e abietti, o di particolare valore morale o sociale), fornendo al giudice anche elementi per la valutazione della capacità a delinquere e della personalità dell’autore. La circostanza modifica quantitativamente la gravità del reato, mentre il valore tutelato rimane identico.
Invece, una volta elevato il motivo “omofobico” o “transfobico”, in ragione del suo contenuto, a circostanza aggravante di un qualunque reato, è proprio questo suo contenuto ideale a dare una particolare colorazione al reato comune, che ne rimane qualitativamente modificato. L’oggetto della tutela, poniamo l’incolumità fisica, subisce uno slittamento e l’incidenza della circostanza si fa da quantitativa a qualitativa.
Come circostanza comune, il motivo omofobico può accompagnare qualsiasi reato, cosicché la rosa dei reati potenzialmente interessati dall’aggravante di omofobia si estende pressoché all’intero codice penale, dall’abigeato alla turbativa d’asta. Per riassumere, se il motivo omofobico diventa capace di aggravare il reato comune ciò sta a significare che il fenomeno omosessuale viene considerato un plusvalore che si aggiunge al bene giuridico leso dal reato comune.
Ma forse l’aspetto più inquietante della previsione dell’aggravante ex Legge Mancino sta nello smisurato aggravio di pena che essa stabilisce (fino alla metà), e che sicuramente è in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, il quale prevede per le pene chiari limiti di contenimento.

13) Con le norme che si intendono approvare al Senato il motivo omofobico e tranfobico, lungi dal presentarsi come elemento accessorio, introduce un valore aggiuntivo a quello tutelato dalla norma base e, assumendo il ruolo di elemento costitutivo, crea una serie indeterminata quanto surreale di reati di incerta configurazione. In ogni caso rimane aperto, e non è poco, il problema dell’accertamento. Come dimostrerà il giudice l’esistenza del motivo omofobico e soprattutto come potrà difendersi l’imputato? Questioni che non hanno turbato minimamente i promotori, e ancora meno gli estensori del disegno di legge.
Come se non bastasse, per tutti i reati viene stabilita la procedibilità di ufficio. Una trovata che deve essere sembrata di straordinaria efficacia dissuasiva in vista della eliminazione di ogni sacca di resistenza omofoba. Ma nonostante la bontà delle intenzioni, le norme in discussione non tengono conto di un possibile prevalente interesse dell’offeso ad evitare lo strepitus fori.
In conclusione con la fantomatica “omofobia” e “transfobia” non si punisce un fatto oggettivamente lesivo di un valore meritevole di tutela penale e caratteristiche personali che abbiano un interesse per l’intera collettività. Non si puniscono neppure comportamenti che mettono in pericolo categorie particolari di persone, dal momento che queste persone godono oggettivamente e in concreto delle libertà e della garanzie assicurate a tutti i cittadini e che, semmai, godono attualmente di una esposizione mediatica e politica e usufruiscono di spazi di libertà spesso capaci di deprimere esigenze educative e culturali altrui. Basti pensare a manifestazioni ostentatamente oscene che, anche in spregio alle norme di buon costume costituzionalmente garantite, vengono ingiustificatamente tollerate dalle pubbliche autorità.
Quella che viene punita con l’omofobia e la transfobia, in realtà, è la stessa libertà di pensiero ancora prima della sua manifestazione. Siamo allo psicoreato, quello che la neolingua orwelliana definiva crimethink, il più pervasivo strumento repressivo delle istituzioni totalitarie descritte in 1984. Se passano le norme in discussione al Senato, anche a noi potrà capitare, come ai disgraziati cittadini dell’immaginaria Oceania di Orwell, di essere incriminati di psicoreato, ogni volta che oseremo soltanto elaborare un pensiero omofobo o contrastante con le teorie del nuovo Socing  e le direttive del Grande Fratello. Davvero un capolavoro!

Quella che viene punita con l’omofobia e la transfobia, in realtà, è la stessa libertà di pensiero ancora prima della sua manifestazione. Siamo allo psicoreato, quello che la neolingua orwelliana definiva crimethink, il più pervasivo strumento repressivo delle istituzioni totalitarie descritte in 1984. Se passano le norme in discussione al Senato, anche a noi potrà capitare, come ai disgraziati cittadini dell’immaginaria Oceania di Orwell, di essere incriminati di psicoreato, ogni volta che oseremo soltanto elaborare un pensiero omofobo o contrastante con le teorie del nuovo Socing  e le direttive del Grande Fratello. Davvero un capolavoro!

beck-unar*-*-*

Questa è l’intervista così come è apparsa, dopo i tagli operati da me e dalla Redazione, a pagina 6 del settimanale Vita Nuova in edicola il  21 febbraio 2014.