Commento sulla riforma del Codice di Deontologia Medica

Esce oggi sul settimanale triestino “Vita Nuova” questo mio commento sulla bozza del nuovo Codice di Deontologia Medica attualmente in discussione.

La Commissione deontologica della FNOMCeO (Federezione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) sta lavorando ad una revisione del Codice di Deontologia Medica in vigore dal 2006. Dalla bozza, reperibile in rete, emergono numerose variazioni alcune delle quali che destano preoccupazioni per il rischio della possibile deriva etica che ne può conseguire.

Già ad una prima lettura del testo del 2006 paragonato a quello attualmente in discussione si notano delle importanti differenze: il codice stesso viene definito con il termine più annacquato di “corpus normativo”; è stato depennato il termine “paziente” sostituito nel testo con “persona assistita”; la parola “eutanasia” è stata sostituita con la definizione “trattamenti finalizzati a provocare la morte“ (che il medico non deve comunque fare né favorire neanche su richiesta della persona assistita); viene introdotto il termine “genere” nel suo significato più recente ed in contrasto con il sesso biologicamente determinato; vi è un articolo dedicato alle “Dichiarazioni anticipate di trattamento”; si ritrovano dei cenni alle “tecnologie avanzate” ed “informatiche”.

Se questi ultimi due punti meritano un aggiornamento del Codice in quanto attuali ed incidenti sulla professione medica, qualche perplessità emerge nel veder trattare di “dichiarazioni anticipate di trattamento” in assenza di una legislazione nazionale e di “genere”, termine ancora molto discusso e non ancora universalmente accettato.

Le maggiori perplessità della versione attualmente in discussione emergono riguardo all’ “obiezione di coscienza”: il termine rimane presente negli articoli relativi ad “aborto”, “procreazione medicalmente assistita” e “sperimentazione sull’animale”. I problemi emergono nell’articolo che riguarda le circostanze in cui un medico può rifiutarsi di erogare delle prestazioni in conflitto con la propria etica e morale. Secondo l’articolo 22 del codice attualmente in vigore “Il medico al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita”. La nuova versione in discussione ammette il rifiuto da parte del medico “quando vengano richiesti interventi che contrastino con i suoi convincimenti etici e tecnico-scientifici, a meno che questo comportamento non sia di nocumento per la salute della persona assistita.” Una “e” al posto di una “o” implica che devono sussistere contemporaneamente le due convinzioni, cosa che cambia completamente il valore della norma. Inoltre l’omissione degli aggettivi “grave e immediato” e la definizione di “salute” intesa come “uno stato di completo benessere fisico, psichico e sociale” da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rende difficile, ad esempio, il rifiuto di prescrizioni di farmaci quali pillole abortive, farmaci psicoattivi od altri trattamenti eticamente sensibili senza il rischio di incappare in provvedimenti ordinistici. Da ultimo l’articolo impone al medico di indirizzare l’assistito da chi eroga le prestazioni rifiutate in modo da rendere vana la sua obiezione di coscienza.

Un vero e proprio attacco alla libertà di coscienza che sta mobilitando i medici più sensibili a queste problematiche affinché vengano ritirate le modifiche apportate lesive della libertà della professione medica.

Marco Gabrielli

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 N.B.; si tratta di un articolo che non tratta complessivamente l’argomento, pensato per essere affiancato ad altri scritti.

Per maggiori approfondimenti lascio qualche link:

Bozza di revisione del Codice di Deontologia Medica

Articolo di Renzo Puccetti e Stefano Alice dalla Bussola Quotidiana

Commento di Francesco Agnoli da Il Foglio

Manifesto di Scienza e Vita

Appello di Vita Nuova – Trieste

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Questo, infine, la scansione dell’articolo apparso su Vita Nuova del 20 settembre 2013:

2013-09-20 Vita Nuova pagina 5 su Codice Deontologico

 

 

2 Responses so far.

  1. Manlio Pittori ha detto:

    “Una “e” al posto di una “o” implica che devono sussistere contemporaneamente le due convinzioni, cosa che cambia completamente il valore della norma.”

    Gentile dott. Gabrielli,

    non sono un medico, e quindi magari i miei dubbi non hanno ragione di essere: ma per ora sono dubbi e forse lei mi può rispondere.

    Ammettiamo che ci sia un medico contrario all’uso di antidolorifici o di determinati farmaci psicoattivi per ragioni di coscienza: quel medico è convinto, faccio per dire, che il dolore sia spiritualmente necessario o ritiene che il disturbo psichico attenga alla sfera spirituale: quindi, essendo sufficiente – sulla base del Codice attuale – il contrasto con la sua coscienza, egli può non prescrivere quei farmaci, anche perché il paziente, senza di essi, non rischia un nocumento grave e immediato.

    Non importano l’entità del dolore e la gravità del disagio che il paziente subisce: la coscienza del medico prevale.

    Con la normativa proposta, invece, non basta la coscienza contraria del medico: occorre anche che questi, per non prescrivere gli antidolorifici o gli psicofarmaci, adduca pure delle ragioni cliniche (non so, il farmaco antidolorifico è pericoloso o dannoso o inefficace).

    Non basta un qualsiasi convincimento riconducibile alla sfera della coscienza, per consentire al medico di rifiutare la prestazione: occorre anche una ragione “clinica”.

    A me questo pare un passo avanti.

    Altrimenti domani un medico sikh, che mi deve dare alcuni punti sul cuoio capelluto e che per fare ciò mi deve rasare la chioma, potrà non farlo, se ritiene che, per motivi di coscienza, non si possano tagliare i capelli: e per 3 punti sulla testa uno non rischia la vita.

    Oppure domani il medico integralista islamico non farà un esame a una donna in quanto la sua religione gli vieta il contatto col corpo femminile: e, bastando il contrasto con la sua coscienza, il medico non farà, che ne so, il pap test alla donna, che non per ciò rischia di morire.

    Dove sbaglio, se sbaglio? Grazie.

    Manlio Pittori

  2. Marco Gabrielli ha detto:

    Gentile signor (dott.?) Manlio Pittori,

    la ringrazio per le domande alle quali cerco di rispondere.

    Inizio cercando di annullare quel “rumore di fondo” che mi sembra di percepire, se poi è solo una mia impressione non credo farà male la mia precisazione…: i cattolici non sono “costretti a soffrire”, tanto meno ad “imporre sofferenze”. Già nel lontano 1957 Papa Pio XII precisò che “la somministrazione dei narcotici” è da ritenersi “lecita” anche se “cagiona per se stessa due effetti distinti, da un lato l’alleviamento dei dolori, dall’altro l’abbreviamento della vita”. Atteggiamento strutturato pure nell’attuale Catechismo della Chiesa Cattolica (articolo 2279).

    Fatta questa precisazione, che dovrebbe fugare ogni dubbio in merito, vediamo gli esempi che mi ha proposto.
    Non conosco la religione Sikh e non capisco a cosa si riferisca, ritengo, però, che un medico possa tagliare (o far tagliare) i capelli per poter meglio suturare una ferita o per accedere all’encefalo. Altrimenti, per una sua scelta, non lavorerebbe, ad esempio, in neurochirurgia.
    Un medico “integralista islamico” non lavorerebbe mai in ginecologia (qui il problema è più serio ed attuale nei paesi islamici anche considerando che le donne trovano enormi difficoltà nell’affrontare gli studi medici). Altrimenti delegherebbe ad altri (infermiere, ostetriche, colleghe di sesso femminile) l’esecuzione dell’esame. Mi creda, però, non ritengo l’esempio possibile per una autoselezione negativa…
    Lo stesso può valere, da noi, per i medici che si professano Testimoni di Geova: credo che eviterebbero di cercare lavoro presso i Centri Trasfusionali o in reparti quali la Cardiochirurgia, dedicandosi ad altre specialità o nell’ambito della ricerca di qualcosa di compatibile con i dettami del proprio credo.

    Perché tanta preoccupazione, quindi?

    Mettiamo che ad un medico di Pronto Soccorso o “di famiglia” venga richiesta la “pillola del giorno dopo”, quella che viene definita “contraccettivo d’emergenza” in quanto inibisce l’ovulazione, ma (vedi foglietto illustrativo), può avere anche effetti “anti-annidatori”, cioè impedisce l’impianto nel tessuto uterino di un embrione formato e vitale. Un medico che, indipendentemente dal proprio credo, ma spinto dalla ragione, sia contrario all’aborto, un simile farmaco non lo prescrive. Risultato: ansia da parte della donna con il venir meno del suo benessere psico-fisico nella ricerca di un medico che quella pillola è disposta a prescrivere. Un malessere arrecato che potrebbe, secondo le possibili future modifiche al Codice, portare a dei procedimenti disciplinari. Rimane al medico la possibilità di farsi aiutare dalla “scienza”, affermando che quel farmaco non è poi così innocuo quanto viene fatto apparire dalle case farmaceutiche, che non si conoscono bene gli effetti indesiderati del farmaco, specificare che lui non è uno specialista in Ginecologia, che non conosce le interazioni con altri farmaci, che non conosce la storia clinica della paziente ed i fattori di rischio di complicanze che non ha modo di eseguire alcuni esami clinici e di laboratorio e che per cercare di evitare possibili complicanze determinate da un uso improprio del farmaco non lo ha prescritto… Ma il tutto diventa complicato… Lui quel farmaco non lo prescrive perché, in coscienza, vuole evitare un possibile aborto. Dovrebbe bastare anche se l’aborto è legale, anche se procura un disguido alla “paziente”…

    Non voglio fare altri esempi: spero sia sufficiente per spiegare che il rapporto medico-paziente è una cosa diversa dagli acquisti in un supermercato e che c’è un qualcosa che non può limitarsi al solo aspetto scientifico.