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Nonostante io non rivesta più incarichi politici, vengo spesso contattato per un parere sulla Cabinovia Trieste – Opicina (Porto Vecchio – Bovedo – Campo Romano), di possibile realizzazione in tempi brevi con i fondi provenienti dal PNRR.
Me ne ero già occupato pubblicamente nel giugno 2020, pubblicando un articolo su questo argomento. Ne è passata di acqua sotto i ponti in questi due anni. Il progetto è cambiato, sono stati trovati altri finanziamenti, l’importo è aumentato fino quasi a duplicare, tenendo conto anche della “svalutazione” che ci sta colpendo duramente. Sono anche stati incaricati architetti di grido per realizzare le stazioni principali. Si sono formati gruppi di cittadini “pro” e “contro” che sono arrivati fino al punto di raccogliere le prime firme in vista di un possibile referendum dichiarato poi inammissibile.
Non voglio soffermarmi nel riprendere vantaggi e critiche. Lascio al lettore questo lavoro di ricerca, che apre ad ampie discussioni soprattutto per quanto riguarda l’impatto ambientale e la sostenibilità economica.
Il mio desiderio è quello di aggiungere brevemente qualche nuovo argomento di discussione, augurandomi di essere originale in questo. Mi scuso anticipatamente se su alcuni argomenti mi limiterò a porre solo qualche domanda.
Da subito posso affermare che, se il progetto viene visto come risposta al problema dell’ingresso nord alla città, la cabinovia trova un suo perché, anche se non conclusivo.
Effettivamente, come indicato nelle pagine web del Comune di Trieste, le strade che da Nord portano al centro di Trieste sono solamente tre, sono particolarmente intasate dal traffico soprattutto nelle prime ore del mattino e hanno anche altre problematiche. Avere un mezzo di trasporto che abbia una portata massima di circa 1.800 persone all’ora, virtualmente senza attesa anche nelle ore di punta, che impieghi al massimo lo stesso tempo che uno impiegherebbe con altri mezzi e con qualche vantaggio in più, potrebbe essere la soluzione al problema.
Nel dibattito, chi è contrario alla cabinovia accusa i promotori dell’opera di mancare di una visione sul futuro. Effettivamente sarebbe superfluo aggiungere la cabinovia, senza cambiare radicalmente la città e l’attuale mobilità pubblica e privata. Occorre una visione che veda la cabinovia organicamente inserita in una città diversa. Faccio un esempio: se noi, 40 anni fa, avessimo invitato un pendolare su Milano a lasciare la macchina in un interscambio, ad esempio, a Cascina Gobba per prendere la metropolitana per il centro del capoluogo lombardo, avremmo probabilmente ottenuto un diniego. Sono però almeno 20 anni che sono decine di migliaia i pendolari che parcheggiano fuori Milano e si muovono all’interno della città con i mezzi pubblici. Lo stesso dicasi, altro esempio, per Parma, città che vede il centro completamente pedonalizzato, ma è ben servita dai mezzi pubblici che raggiungono anche gli interscambi fuori le mura.
Anche nell’ottica di attrazione per i turisti già presenti in città quali sono i croceristi, la cabinovia avrebbe bisogno di una visione diversa: ora ad Opicina c’è ben poco di turisticamente appetibile e i dintorni non sono ben serviti. Rendere Opicina più attrattiva e le località del Carso più facilmente raggiungibili con i mezzi pubblici potrebbe cambiare molte le cose.
Sono quindi favorevole al progetto e non se ne parli più? No!
Volendo giudicare l’opera nella sua completezza, ci sono altri aspetti da valutare.
In cosa differisce un “progettista”, ingegnere o altro che sia, da una persona comune? Amo rispondere: “Nella capacità di dimensionare il progetto”, quale esso sia: un motore, un grattacielo, un apparecchio biomedicale. Da qui diverse domande: “Perché, per un mezzo di trasporto capace di una portata oraria di 1.800 persone, si prevede un parcheggio a Campo romano di solamente 800 macchine? Non risulta sottodimensionato, pur impattante sull’ambiente? Chi altro potrebbe usufruire della cabinovia dal Carso verso la città? I residenti ad Opicina? I lavoratori transfrontalieri residenti in Slovenia? Quanti? In che orario? Con quali mezzi raggiungerebbero la stazione di partenza?” Anche qui ci sarebbe bisogno dell’esplicitazione di un progetto d’insieme.
Immaginando una mobilità cittadina profondamente diversa dall’attuale, con più aree pedonali, maggior servizio pubblico magari dotato di piccoli veicoli quali i “caddy”, più spazio per le biciclette, cosa accadrebbe in quei giorni di vento forte in cui la cabinovia risulterà fuori servizio posto che la città risulterebbe profondamente cambiata? Con che mezzi raggiungerebbero una città diversa 1.800 persone all’ora abituate a prendere la cabinovia?
A quanto mi sembra di capire dal progetto e da quanto contenuto sul sito citato, ci saranno in funzione sulla linea complessivamente meno di 100 cabine, una ogni 20 secondi per una distanza di circa 120 metri fra cabina e cabina. È possibile pensare ad un numero maggiore di cabine sulla linea per aumentare la portata oraria? Con che costi? Con quali limiti imposti dalla normativa vigente?
Se le cabine sulla linea fossero in numero inferiore è possibile pensare di farle viaggiare anche con un vento più forte di quanto previsto oggi per l’interruzione del servizio?
Durante la notte o quando non in funzione le cabine verranno trattenute nelle stazioni? Questo sicuramente sarebbe un vantaggio per l’impatto visivo e contribuirebbe al minor logorio delle cabine stesse.
Saranno previste delle tariffe che comprendano il costo del parcheggio ed il costo del biglietto per la cabinovia? Con quali importi?
Il progetto è pensato per risolvere il problema dell’accesso da nord alla città. Un pendolare di Monfalcone (o di Udine o di Sesana) che debba recarsi quotidianamente a Trieste per lavoro potrà acquistare il biglietto alle tariffe applicate ai residenti o dovrà pagare il biglietto turistico? E una persona occasionalmente di passaggio a Trieste per lavoro? Tecnicamente come verrebbero riconosciuti e differenziati residenti, lavoratori e turisti? Detto questo bisogna avere molta, ma molta fantasia per immaginare un turista che parcheggi la macchina ad Opicina e scenda, valige in mano, per soggiornare nell’albergo in riva del Mandracchio…
Nella mia ricerca sui documenti non ho mai sentito parlare di “durata dell’opera”. Non sono un ingegnere, ma so che le omologazioni degli impianti di risalita a fune hanno una scadenza. Il cemento dei piloni, le funi, il materiale rotante, le cabine hanno una durata limitata nel tempo e prefissata dalle normative a tutela della sicurezza. Quanto è la durata di esercizio prevista per questo impianto? Con quali costi per l’ammodernamento o per la demolizione dell’opera con il ripristino alla situazione precedente? Cosa lasciamo in mano ai nostri figli?
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