Botta e risposta sull’eutanasia

Nel dibattito aperto sulle pagine del quotidiano triestino “Il Piccolo”, a cui ho partecipato con il mio scritto reperibile cliccando qui, leggo, domenica primo settembre, queste “Segnalazioni” a me indirizzate a firma Rita Cian e Dino De Marco.

Di seguito potete trovare la mia risposta spedita al giornale il 3 settembre.

2013-09-01 Il Piccolo pagina 35 - Segnalazioni*-*-*

Questo il testo della mia risposta inviato a “Il Piccolo” il 3 settembre:

Voglio tranquillizzare la dottoressa Rita Cian, che domenica mi ha inviato una ipotetica serie di lettere per spiegarmi che le storie di Welby, Englaro e Monicelli non sono “pubblicità”. Alla Cian dico che io dubito molto, mi faccio tante domande. Non sono capace di far dire ad una persona morta cose di cui non sono certo. Mi chiedo se Eluana Englaro, nei 17 anni di stato vegetativo, non abbia mai ripreso una minima coscienza e non abbia avuto dei desideri. Dico questo perché sono numerose le persone che si svegliano dal coma apparente e raccontano quanto vissuto in quei momenti e, pur nella sofferenza, accettano le nuove condizioni di vita chiedendo ogni forma di aiuto e sostegno. Non riesco poi ad affermare che Eluana è morta il giorno dell’incidente: io, io, non ho queste ideologiche certezze. Discorso analogo per le altre storie citate. È pubblicità far parlare i morti per sostenere una propria idea? E’ pubblicità citare lo scritto di un cardinale forzandone il senso e tralasciando la conclusione, che parla di Dio e di vita eterna, per avvalorare la propria tesi? Fate un po’ voi. In un dibattito sul tema dell’eutanasia mi sarei aspettato più argomentazioni, anche sugli altri temi da me trattati, e meno retorica: più dialogo e meno monologhi.

Questo vale anche per il dott. Dino De Marco, che cerca di spiegarmi che vi è una differenza fra “diritti individuali” ed “obblighi sociali”, ma non nega quanto da me affermato e cioè che in alcuni paesi europei la cultura eutanasica abbia già portato ad una diminuzione dell’assistenza erogata dallo Stato e all’incentivazione dell’abbandono terapeutico e dell’eutanasia stessa. L’attuale aspettativa di vita dei paesi citati da De Marco (Svizzera esclusa) è inferiore a quella italiana nonostante il nostro tanto criticato sistema sanitario: che questo dato possa significare qualcosa sul modo in cui certi Stati si prendono cura dei propri cittadini? De Marco afferma che esista l’eutanasia silenziosa, ma, ancora una volta, non prova questa sua affermazione. Io resto libero di non credergli. Parla inoltre di medici pietosi. Che siano solamente medici che hanno correttamente evitato qualche sorta di accanimento terapeutico?

Tutto il rispetto per chi soffre e, pur di non soffrire, preferirebbe morire, ma, da parte mia, la libertà di ribadire che, se viene meno un principio quale quello della vita, tutto è possibile. Anche 6 milioni di aborti legali in 35 anni nella sola Italia. Anche i campi di sterminio per disabili.

Marco Gabrielli

(per la cronaca questa lettera è stata pubblicata il 12 settembre a pagina 35 del giornale triestino)