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Alla fine anche nella nostra Regione (Friuli Venezia Giulia) è possibile la procreazione medicalmente assistita utilizzando gameti esterni alla coppia: la cosiddetta “eterologa”. Un giudice ha ammesso queste procedure sancendo l’”incoercibile diritto al figlio”, ma riducendo così un essere umano ad “oggetto del desiderio”, ad una “cosa” da ottenere, costi quel che costi. Il Ministro alla Salute non è riuscito ad emanare un decreto legge nazionale, lasciando così spazio alle singole regioni per la regolamentazione, in attesa di una legge nazionale votata dal Parlamento.
La prima coppia disposta ad utilizzare queste tecniche l’ho conosciuta una decina di anni fa. Marito e moglie si stavano recando in Grecia perché allora queste procedure erano proibite in Italia. Comprensibilmente soffrivano tanto per la loro sterilità, ma non erano riusciti a trovare conforto ed amicizia in grado di accompagnarli nella loro malattia. Per loro l’adozione non era una soluzione. Erano accompagnati dalla sorella di lei: avrebbe donato loro gli ovuli perché avessero un figlio con caratteri somatici simili alla madre. Come in un racconto di Joyce sono ritornati indietro senza aver fatto nulla: arrivati al dunque non riuscivano a rispondere alle domane: “Cosa stiamo facendo?” e “Perché?” Perché sottoporsi ad un bombardamento ormonale per iperstimolare l’ovaio a produrre un numero elevato di ovuli e ad una terapia per prevenire le rischiose complicanze di un simile trattamento? Perché il prelievo chirurgico degli ovuli in anestesia generale? Perché la fecondazione in vitro degli ovuli ad opera di un biologo che lavora al microscopio con il seme ottenuto tramite masturbazione? Perché l’impianto degli embrioni, accompagnato da pesanti terapie ormonali? Perché la crio-conservazione degli embrioni soprannumerari per eventuali futuri utilizzi? Perché? Quella coppia non ha retto il peso delle domande ed ha rinunciato.
“Il figlio che bramo non avrà i tuoi occhi!” “Il figlio che bramiamo non sarà completamente figlio nostro.” Un’ipoteca anche sul domani, in un mondo in cui le relazioni sono sempre più fluide e, spesso, neanche i legami di sangue riescono a tener unita una famiglia. “Cosa vuoi tu, che non sei neanche figlio mio?”
I risultati di queste tecniche sono deludenti: difficile trovare accettati simili insuccessi in medicina. Meno di una coppia su tre avrà un “figlio in braccio”, mentre solo un embrione su dieci vedrà la luce. Ma, di questo, è meglio non parlare. Meglio parlare del nuovo “diritto al figlio”, il resto sono dettagli.
Forse un giorno i bambini nati con l’eterologa cresceranno e vorranno sapere la verità, vorranno conoscere il papà o la mamma biologica, vorranno sapere se ci sono altri fratellastri in circolazione, vorranno capire i motivi che hanno spinto ad una simile “donazione”. Vero “altruismo”? Desiderio di lasciare dei figli genetici nel mondo? O solo soldi, meglio dire “rimborso spese”? Nessun problema: l’anonimato coprirà tutto! Qualcuno negherà la risposta e cercherà di portar via anche la domanda… “Che ti importa?” “Che ti cambia?”. Certe domande, però, non si rimuovono facilmente.
La nostra Regione sembra lasciare spazi di accessibilità più ampi rispetto ad altre regioni italiane per quanto riguarda l’età dei richiedenti. Perché le altre regioni hanno limiti più ristretti? Perché si è visto che più giovane è la coppia migliore è la probabilità di successo. Vuoi vedere che si vuole fare “attrattiva” puntando sul “turismo procreativo” per farsi pagare l’accesso a queste tecniche dalle altre regioni che hanno limiti più ristretti? Già, perché queste procedure hanno un costo. Il ticket a carico della coppia di qualche centinaio di euro è solo parte delle spese che lo Stato affronta. E’ stato calcolato in circa 14.000 euro il costo di una singola procedura. Soldi che, specialmente in un periodo di crisi, verranno dirottati da alti settori, a spese di altri trattamenti. Anche questo non importa, meglio non parlarne.
Chi donerà ovuli e spermatozoi? Chi saranno i “donatori”? Facile per gli uomini, più difficile per le donne: chi me lo fa fare di sopportare un trattamento ormonale ed un intervento chirurgico, benché “piccolo”? Chi si espone, in mancanza di una legge nazionale, al rischio di vedersi in futuro riconosciuto come genitore del bambino con tutti i doveri e gli oneri del caso? Forse una congrua somma di denaro può semplificare le cose? Nel mondo c’è un florido commercio. In Italia? Difficile dire, manca una legislazione e mancano dei controlli… Stiamo a vedere.
Nessun giudice ha ancora stabilito il diritto di una coppia omosessuale ad avere un figlio con la fecondazione assistita, magari ricorrendo all’utero in affitto e all’acquisto degli ovuli. Un diritto di fatto negato dalla Natura. Lo farà presto aprendo così ad una nuova serie di domande problematiche. Questo, però, è un altro argomento e non trova qui ora spazio per essere affrontato.
Marco Gabrielli
Aggiornamento: Il 28 ottobre 2014 questo testo è stato pubblicato sule pagine de “Il Piccolo”, quotidiano di Trieste, nella rubrica “L’intervento di”. Un sentito ringraziamento. (Manca l’ultima frase, ma poco importa.)
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