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Forse anche a seguito della lettura del mio scritto “L’utero in affitto e l’ideologia gender nelle scuole” pubblicato giovedì 8 ottobre 2015 sulle pagine del quotidiano triestino “Il Piccolo”, l’Assessore all’Educazione del Comune di Trieste dottoressa Antonella Grim ha voluto tranquillizzare i genitori e gli alunni e ha voluto sfatare “leggende metropolitane difficili da sradicare e pericolosissime sotto il profilo educativo e sociale” con questo “Intervento” che io mi permetto di pubblicare qui sotto.
Da subito ribadisco che quanto da me scritto nel mio “Intervento” non sono “leggende metropolitane” tanto è vero che ho voluto mettere, quale sorta di riferimenti bibliografici, anche dei link a siti ben lontani dalla mia sensibilità. Posso confermare ogni mia parola con documentazioni inconfutabili, a partire dalle varie linee guida ministeriali.
Ero indeciso se prendere carta e penna per rispondere nuovamente alle affermazioni dell’Assessore quando una insegnante di un liceo triestino mi ha telefonato “facendosi avanti” per intervenire in questa discussione.
Quello che segue è il suo pensiero che sono contento di poter pubblicare su queste pagine.
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Sono un’insegnante di un liceo triestino e desidero proporre ai genitori alcuni spunti di riflessione.
Cos’è l’educazione di genere? Dietro questa espressione, volutamente difficile da definire se non per gli addetti ai lavori, si celano progetti scolastici altrettanto indefiniti: la versione soft, offerta ai genitori perché non si spaventino, introduce temi quali la parità fra uomo e donna e il rispetto delle differenze. Vorrei tranquillizzare i lettori: da molto tempo nelle scuole italiane, immagino anche nelle istituzioni educative del Comune di Trieste, i maschi possono piangere senza essere presi in giro e le bambine possono esprimere liberamente il desiderio di fare le astronaute. Si insegna da decenni a rispettare l’altro: in qualsiasi modo si vesta, qualsiasi cosa mangi, da qualsiasi luogo provenga. Non servono certo progetti finanziati dallo Stato, dalla Regione o dal Comune perché è pratica quotidiana dell’educatore affrontare queste tematiche. In realtà l’educazione di genere, cui ha fatto riferimento esplicitamente la senatrice Fedeli (il 28 settembre 2015, trasmissione “Un Giorno da Pecora”), entra nelle scuole con altri obiettivi: in estrema sintesi, si tratta di proporre una distruzione graduale, a partire dai primi anni di vita, dei cosiddetti “generi” (l’identità sessuale biologicamente definita) per raggiungere, nelle forme estreme la fluidità del genere (cioè del sesso) che, non essendo più biologicamente determinato, può essere scelto (o, al limite, non contare affatto). E qui entrano in gioco le associazioni che si definiscono LGBT (lesbiche, gay, bisessuali, transessuali) che costituiscono l’interlocutore privilegiato delle istituzioni per progetti dai nomi accattivanti quali “A scuola per conoscerci” e simili. Si tratta di progetti finanziati con fondi pubblici, rispetto ai quali spesso gli insegnanti assumono un ruolo di esecutori; varie associazioni, non necessariamente LGBT, in questo periodo si dedicano a confezionare progetti da “proporre” alle scuole: pronti, chiavi in mano, non costano nulla alla scuola (sono già finanziati da Comune, Regione, Stato…). Ancora una volta, lo scopo nobile è la prevenzione delle violenze. Quali? Entra in campo il bullismo omofobico: fenomeno che rientra, come altre forme di violenza, nei comportamenti da contrastare e reprimere. C’è bisogno di un esperto esterno, non basta educare al rispetto di ogni tipo di diversità? Già lo si faceva e lo si fa quotidianamente, gratis, nelle scuole. Forse lo scopo reale di questi progetti è un altro? Forse è proprio che bisogna ottenere un obiettivo ben preciso, per il quale l’educazione alla tolleranza non basta?
Ruolo della famiglia e professionalità degli insegnanti diventano centrali in uno scenario educativo complesso. I genitori non devono delegare alle istituzioni scolastiche l’educazione dei loro figli, soprattutto su tematiche così delicate. L’insegnante esprime al massimo la sua professionalità quando agisce in prima persona nei processi educativi coinvolgendo le famiglie e gli studenti, rispettandone sempre i valori e le sensibilità. Nelle scuole oggi i genitori non sono realmente in grado di valutare i contenuti e i metodi dei progetti cui le scuole aderiscono, che devono comunque essere previsti nel Piano dell’offerta formativa delle scuole; sottolineo, però, che è stata necessaria una precisazione del ministro Giannini per porre un freno al via vai di associazioni e sedicenti esperti nelle scuole, imponendo almeno la richiesta di consenso delle famiglie.
Elena Maffei
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Questo è quanto ha pubblicato “Il Piccolo” nella pagina delle Segnalazioni il 16 ottobre 2015.
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