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Partendo dalla mia esperienza personale, qualche ragionamento circa il voto al prossimo Referendum costituzionale del 20 e 21 settembre 2020.
Dichiaro da subito, che io voterò convintamente NO.
In questa mia disamina cercherò di essere breve e, raccontando alcuni episodi, accennerò solamente ad alcuni argomenti e problematiche, che ritengo importanti anche in prospettive future, quale che sia il risultato referendario.
Pare che il taglio dei parlamentari sia motivato essenzialmente dai costi.
A mio modesto parere non è sicuramente il taglio del numero di parlamentari la scelta giusta per contenere le spese.
Io, Consigliere comunale in un Comune capoluogo di provincia quale è Trieste, non rinuncerei a nessuno dei 39 Colleghi che compongono il Consiglio comunale. Di ognuno conosco le battaglie, piccole o grandi, portate avanti con tenacia; conosco l’impegno profuso per rappresentare i cittadini altrimenti non rappresentati. Vedo l’impegno quotidiano di studio e ricerca di soluzioni a svariati problemi di interesse comunale. Anche la mancanza di uno solo di loro costituirebbe un impoverimento dell’intero Consiglio. Sono convinto che lo stesso avverrebbe per il Parlamento.
Una riduzione dei parlamentari ottenuta con la vittoria dei SI porterebbe probabilmente anche al taglio dei rappresentanti anche negli organismi subordinati.
Con il taglio dei parlamentari verrebbero meno rappresentati non solo i territori, ma potrebbero anche scomparire tutte quelle “minoranze”, non solo linguistiche, ma anche culturali e religiose che fanno la ricchezza dell’Italia. Sottolineo un’altra minoranza che potrebbe scomparire del tutto: la minoranza dei “cattolici”, già esiguamente rappresentata in Parlamento.
Quella che va ripristinata è la funzione del Parlamento che attualmente è relegato a pura funzione di approvazione, spesso con voto di fiducia, di atti redatti dal Consiglio dei Ministri.
È venuta meno tutta la funzione peculiare di proposta e di controllo del Parlamento in un momento in cui il dibattito si svolge sulle televisioni o sulle reti sociali a colpi di slogan più che con veri programmi e verifica degli stessi. Così non è accettabile: un richiamo autorevole al rispetto della Costituzione sarebbe opportuno. Ritengo essenziale un ritorno alla centralità del Parlamento e del lavoro parlamentare che, ne sono convinto, con il taglio dei rappresentanti verrebbe meno.
Va evidenziata, in questa mia breve riflessione, la necessità di una modifica della legge elettorale: non è più pensabile continuare a votare delle persone decise a tavolino dalle segreterie dei partiti. Credo che sia anche questa una causa della disaffezione dei cittadini dalla politica.
Quale forma si voglia dare al sistema elettorale (Maggioritario? Proporzionale? Misto? Con sbarramento o meno?), è fondamentale il ripristino del voto di preferenza. I cittadini devono poter scegliere chi votare, avere presente un volto da scegliere e non una lista imposta dall’alto ed essere consapevoli di chi hanno eletto: un discorso di fiducia e responsabilità.
Personalmente non vedo neanche male le “primarie”, che potrebbero essere organizzate e controllate dallo Stato, ma qui il discorso si fa lungo e complesso…
Se il problema sono i costi, come ridurre le spese della politica?
Ricordo a tutti che io, dal luglio 2016, trovandomi a rivestire l’incarico di Presidente del Consiglio comunale di Trieste, mi sono trovato nella circostanza di dover e poter contenere le spese per il funzionamento del Consiglio stesso.
Contenere le spese non era certo un mio obbiettivo, non era nel mio programma, non avevo chiesto voti per farlo.
Perché ho agito in un certo modo? Semplice: una persona molto autorevole del Comune, leggi e Regolamento alla mano, mi ha fatto capire che un domani avrei potuto dover rispondere davanti ad un Giudice delle spese che io, di fatto, autorizzavo.
All’inizio del mandato la partecipazione dei consiglieri nelle sedute del Consiglio e delle Commissioni era compensata con un “gettone di presenza” (104 euro lordi, con un solo gettone erogabile nelle 24 ore anche nel caso di partecipazione a più sedute).
I consiglieri hanno potuto conoscermi quando, rompendo la prassi tradizionale, ho convocato tutte le Commissioni per la prima seduta, quella che prevede la sola elezione del Presidente di Commissione, in una sola giornata anziché in più giornate. Così facendo tutti i consiglieri, che partecipano a più commissioni, hanno ricevuto il solo gettone erogato nella giornata. Io mi immaginavo davanti ad un Giudice della Corte dei conti incapace a motivare una spesa maggiore dovuta ad una scelta diversa.
Ho poi continuato, come un “buon padre di famiglia”, a razionalizzare le convocazioni delle commissioni in modo da permettere il lavoro del Consiglio, cercando contemporaneamente di evitare sprechi di denaro pubblico, ma riscontrando pesanti ostilità.
Come sono andate dopo le cose è risaputo: ho ricevuto minacce di denuncia per improbabili reati, hanno cercato più volte di togliermi la responsabilità nella convocazioni in modo da poter convocare liberamente le commissioni fino a cambiare la modalità di compenso, passando dal “gettone di presenza” all’indennità fissa di funzione (1.222,00 euro al mese).
Perché questa lunga divagazione?
Per dire che la politica ha dei costi su cui si può lavorare. Il difficile è trovare una giusta e unanime quantificazione monetaria del lavoro svolto da chi si impegna in politica.
Si potrebbe anche ipotizzare, per i parlamentari, uno stipendio basato sulle dichiarazioni dei redditi degli anni precedenti l’elezione. Butto l’argomento per la discussione, ma qui mi fermo per non inoltrarmi in questioni che conosco poco, ad iniziare dalla costituzionalità di un simile procedimento.
Non sarebbe male che, anche in una prossima campagna elettorale, i candidati chiedano un chiaro mandato dagli elettori per operare una riduzione degli “stipendi”.
Con un chiaro mandato sarebbe più facile realizzare delle riduzioni negli stipendi: meglio un taglio degli stipendi che un taglio dei parlamentari!
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