Politica, cattolici, agenda del governo
Conversazione a tutto campo con Paola Binetti (*)
Da "Vita Nuova" del 29 ottobre 2010
Abbiamo intervistato l’onorevole Paola Binetti, presente a Trieste sabato 23 ottobre 2010 per partecipare all’incontro di presentazione del
libro di mons. Crepaldi "Il cattolico in politica" organizzato dal Centro Culturale Bellomi.
Lei è stata eletta nelle liste del Partito Democratico. Ora
milita nell’Unione di Centro. Può spiegare i motivi di questo
spostamento?
Ho sempre avuto molto presente che il Pd era un partito che nasceva
dalla sintesi tra quella che era la cultura propria della Margherita e
quindi del cattolicesimo popolare e la cultura dei Ds.
La
sfida che il Pd si era dato era di riuscire non solo a fare una sintesi
tra queste due culture, ma anche a rappresentare la sensibilità di
tutti gli italiani che, riconoscendosi nelle loro radici cristiane,
intendevano perseguire obiettivi in una più specifica collocazione
nell’area del sociale. Questo è venuto meno: si è andata stratificando
sempre di più l’egemonia della cultura dei Ds, quindi di punti di vista
molte volte alternativi a quella che era la cultura del cattolicesimo
popolare. Questo è culminato poi nell’egemonia che direi “radicale” nel
momento in cui Emma Bonino è diventata il riferimento del Pd nella
regione Lazio. A me è sembrato che quel progetto fosse finito.
Il
Governo, nell’agosto di quest’anno, attraverso i ministri Fazio e
Sacconi e la sottosegretaria Roccella, ha presentato l’“Agenda Bioetica
del Governo”. Nel documento si riafferma la centralità della persona
umana e si prevedono cinque punti su cui concentrare l’azione. Un suo
commento.
L’Agenda Bioetica del Governo rivela nella sua
intima e profonda struttura una grande sensibilità per le tematiche care
al mondo cattolico. Ripercorre quelle linee che sono contenute nella
nota dottrinale per i cattolici impegnati in politica e nell’ultima
enciclica di Benedetto XVI “Caritas in Veritate”. Su quei punti c’è la
totale convergenza di chi vuole tradurre le nostre radici cristiane nel
modo più laico possibile in una operazione al servizio del bene comune.
Nel
febbraio 2009, nei giorni in cui veniva fatta terminare l’esistenza di
Eluana Englaro, il Governo ha varato un decreto legge che avrebbe potuto
salvarle la vita, ma questo decreto è stato bloccato dal presidente
Napolitano. Il successivo tentativo di rapida conversione in legge è
stato interrotto perché reso vano dalla morte di Eluana. Già allora era
emersa una certa trasversalità all’interno dei partiti e mi sembra
significativo sottolineare il fatto che la Englaro sia morta in una
regione guidata dal centro destra. Da quel momento comunque, venti mesi
fa, sembra che nulla di concreto sia stato fatto. Come stanno le cose?
Non
è vero che non è stato fatto nulla. Il Senato, alla fine del marzo
2009, ha congedato il disegno di legge (relatore il senatore Calabrò)
che è approdato alla Camera. Qui è stato oggetto di studio, di
riflessioni e di modifiche da parte di alcune commissioni ed ora è in
attesa di parere da parte della Commissione Affari Costituzionali e
dalla Commissione Giustizia. Da questa Commissione, presieduta dall’on.
Giulia Buongiorno (Fli), sta emergendo un parere negativo, cosa che per
noi che guardiamo ad un terzo polo alternativo agli attuali desta non
poca preoccupazione: gli onorevoli Fini, Buongiorno e Della Vedova si
sono espressi ripetutamente in toni non solo fortemente critici, ma
anche ostativi di fronte a questo progetto di legge. Ora attendiamo da
parte di Futuro e Libertà un messaggio per verificare se esiste una
sintonia sul piano dei valori in materia bioetica.
La
legge 40 del 2004 non può definirsi una “legge cattolica”. Nonostante
ciò sono stati molti i cattolici che l’hanno difesa schierandosi per
l’astensione al referendum del giugno 2005. Sentenze da parte della
Corte Costituzionale e da parte di alcuni tribunali la stanno ora
snaturando. C’è chi parla di una sorta di “attacco” contro la legge
stessa. Lei, che è stata presidente del “Comitato Scienza e Vita”, che
opinione si è fatta?
Questa legge è passata con un governo di
centro destra, con i voti della maggioranza e una grande fetta di voti
da parte del centro sinistra, in modo particolare da parte della
Margherita il cui presidente Rutelli prese una posizione particolarmente
coraggiosa in controtendenza rispetto al suo schieramento, con il pieno
consenso della componente cattolica. Appena approvata questa legge si è
scatenata da parte della sinistra un’aggressione virulenta che sembrava
dovesse dominare totalmente l’opinione pubblica. Nei mesi del
referendum la grande stampa sembrava dare per persa questa battaglia di
difesa delle legge. Si è fatto un grande lavoro, raggiungendo le persone
una per una, e il risultato è stato sorprendente: il 75% degli italiani
hanno espresso il loro consenso a questa legge. Dopo il referendum è
partito un secondo tipo di attacco. Una delle cose più sorprendenti è
che gli attacchi riprendono alcuni quesiti contenuti nel referendum. Per
tutti l’ultimo quesito che è stato posto alla Corte Costituzionale
riguarda la fecondazione eterologa che era uno dei quesiti del
referendum. C’è come un accanimento giuridico per non voler accettare
risposte che sono nate dalla legge, dal consenso popolare e
dall’esperienza. Perché tanto accanimento, ad esempio, rispetto
all’eterologa? Si è perso totalmente il senso della realtà familiare. Il
“no” alla fecondazione eterologa nasce dalla volontà di tutelare
nell’embrione anche il diritto ad una famiglia in cui madre e padre
siano chiaramente riconoscibili e coincidano biologicamente. Se uno dei
due rimane estraneo è certamente più difficile garantire uno spessore di
maternità o paternità. Inoltre si sa che spesso il donatore non è un
donatore gratuito e si pongono dei criteri di selezione: da chi voglio
essere fecondata? Da un uomo di razza bianca piuttosto che nera, sano,
di bell’aspetto…?
A
livello regionale vi sono alcune regioni che si stanno muovendo
autonomamente sul tema della vita. Ad esempio la regione Lombardia, con
il “Fondo Nasko”, garantisce un minimo contributo alle madri che
decidono di non abortire. Analogo discorso può essere fatto anche per
quanto riguarda l’educazione, in particolare le contribuzioni per le
scuole private, e la famiglia. Vede questi esempi esportabili ad altre
regioni o che possano essere recepiti a livello nazionale?
In
Italia ci troviamo davanti ad una fase di transizione istituzionale
ancora non compiuta: non sono chiare le competenze delle regioni e delle
province e dei comuni. Questo permette di avere delle legislazioni
locali che configgono fra di loro perché esprimono la sensibilità della
componente che governa in quel momento. Sarebbe bene che a livello
regionale alcuni criteri venissero definiti. Quali sono i criteri? Per
esempio i Fondi Nasko, che sono il sostegno alla maternità, potrebbero
essere letti all’interno di una rivalutazione della legge 194/78 per
quella parte inapplicata che prevede la tutela della maternità.
Parliamo
di riforme … Non si riescono ad attuare le riforme necessarie in tema
di giustizia, istruzione, fisco … Come venire fuori da questo stallo?
Lo
stallo è lo stesso che ha vissuto il Partito Democratico nella
legislatura precedente per la risicata maggioranza che aveva al Senato.
L’attuale maggioranza ha oltre 100 parlamentari in più ma non riesce ad
attuare le riforme perché soffre di una debolezza interna che mostra
come queste grandi coalizioni siano molto fragili. Per questo, come UdC,
diciamo che questo bipolarismo è malato e va superato ed archiviato
perché consegna il paese ad un immobilismo drammatico. Prendere dentro
di tutto in una coalizione per prendere il premio di maggioranza può
servire a vincere le elezioni, ma certamente non a governare perché
nella eterogeneità delle componenti finiscono col prevalere elementi
disunitivi e non gli elementi che servono a mantenere coeso un progetto
politico comune.
Vede possibile l’ingresso dell’UdC nella compagine governativa?
Lo
vedo possibile e auspicabile, ma stiamo parlando di un governo
completamente nuovo rispetto al presente e con un mandato molto chiaro.
Se si votasse la primavera prossima, con chi si schiererebbe il suo partito?
Credo
che l’UdC correrebbe da sola. Lo ha ribadito ieri (22/10)
Pierferdinando Casini ad una convention. Ma correre da soli
significherebbe correre assieme alle forze di centro e moderate
guardando ad un progetto politico nuovo e coraggioso, capace di dare
tante risposte su temi nodali quali riforma elettorale, economia e
giustizia.
Il
cardinal Bagnasco auspica che l’azione politica torni a perseguire il
bene comune. C’è un richiamo ai cattolici di riscoprire la politica come
forma di carità. I cattolici impegnati in politica non manifestano la
tanto auspicata “unità”. Ma è possibile almeno nelle cose essenziali?
Sulle
cose essenziali questa unità c’è già: basti vedere la legge 40 o la
resistenza attuata sul tema dei “Dico” osservata nella scorsa
legislatura o, in questa legislatura, sulla denuncia obbligatoria da
parte dei medici degli immigrati malati … Ma è ancora tutto allo stato
embrionario che noi vorremmo possa crescere e ricompattarsi.
A Trieste ha presentato il libro di mons. Crepaldi “Il Cattolico in Politica”. Vede possibile una ripresa?
Penso
proprio di si, ma è necessaria una ripresa a tutto tondo, nella Chiesa,
nella società civile e nel mondo politico. E i politici non devono
essere lasciati soli: davanti ad una sofferenza globalizzata ci vogliono
delle risposte globalizzate in cui ognuno faccia la sua parte e tutti
quanti assumano come obiettivo condiviso il bene comune.
Marco Gabrielli
(*) parlamentare dell' "Unione di Centro"