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Condivido questo mio scritto elaborato per il settimanale triestino “Vita Nuova” al riguardo del provvedimento dell’AIFA che permette la vendita della “pillola dei 5 giorni dopo” senza ricetta.

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E’ passata un po’ in sordina la notizia che l’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) ha stabilito che la “pillola dei 5 giorni dopo” sarà acquistabile nelle farmacie come un prodotto da banco, senza cioè la necessità della ricetta medica. Viene meno anche l’obbligo di eseguire il test per escludere la presenza di una gravidanza in corso.
La gravità di questa notizia sta nel fatto che il farmaco può avere un effetto abortivo. Poco consola il fatto che l’obbligo di ricetta medica sia mantenuto per le minorenni.
Cerchiamo di approfondire l’argomento.
La EllaOne (Ulipristal Acetato – UPA) è considerato un “contraccettivo di emergenza” per un utilizzo indicato nelle 120 ore (5 giorni) successive ad un rapporto sessuale “non protetto da altri metodi contraccettivi”. Il meccanismo di azione, come chiaramente espresso nel documento dall’Agenzia Europea dei Medicinali “Assessment Report per EllaOne” (EMEA/261787/2009) redatto nel 2009 per immettere in commercio il prodotto, ha la duplice funzionalità anti-ovulatoria ed anti-annidatoria (il documento è facilmente reperibile in internet nel sito dell’EMA). Si vengono così a verificare due situazioni: se il rapporto sessuale avviene prima dell’ovulazione, questa viene inibita; se il rapporto avviene dopo l’ovulazione e dopo la fecondazione dell’ovulo, il farmaco produce delle variazioni nell’utero che impediscono l’annidamento dell’embrione presente causando di fatto un aborto.
Perché allora un farmaco che ha un possibile effetto abortivo viene immesso in commercio senza l’obbligo di ricetta medica? Tutta una questione di definizioni: l’OMS (Organizzazione Mondiale per la Sanità) indica come inizio della gravidanza l’impianto dell’embrione nell’utero e non la formazione dello stesso embrione a seguito della fusione dell’ovulo con gli spermatozoi. Ma che destino avrebbe quell’essere vivente, unico ed irripetibile, dotato di un proprio corredo genetico, che necessita solo di tempo e nutrimento per crescere e svilupparsi, se non vi fosse l’intervento di quel farmaco?
Ma c’è dell’altro nella gravità della decisione dell’AIFA. A leggere attentamente il già citato “Assessment Report per EllaOne” del 2009, si osserva che il farmaco ad un dosaggio poche volte superiore a quello con azione anti-ovulatoria ed anti-annidatoria ha anche capacità abortive su gravidanze con embrione già impiantato nell’utero. Ha, cioè, una funzione abortiva paragonabile a quella della RU486 (Mifepristone) la cui formula chimica è molto simile. Il documento arriva al punto di suggerirne una sorta di “sperimentazione” per questo particolare effetto. Per quello che riguarda la EllaOne sarebbe dunque sufficiente l’assunzione di alcune compresse, raccolte a seguito di un giro per qualche farmacia, per procurare un aborto anche a gravidanza in corso da qualche settimana. Un vero e proprio aborto clandestino, che sfugge a qualsiasi controllo.
La dichiarazione dell’AIFA apre ancora qualche aspetto insolito. Quello che risulta per ora strano è che il Levonorgestrel, la “pillola del giorno dopo”, da assumersi entro le 72 ore da un rapporto sessuale che pure presenta un possibile effetto antiannidatorio, mantiene ancora l’obbligo di presentazione della ricetta medica. E’ facile prevedere che anche per questo “farmaco” verrà presto giudicato “da banco” ed è facile immaginare quale concorrenza si facciano attualmente questi due prodotti che vedono la pillola del giorno dopo avere un prezzo più di oltre 3 volte inferiore rispetto a quello della pillola dei 5 giorni dopo, ma che è ora acquistabile con maggiore facilità.
Va notato che senza ricetta medica sarà difficile effettuare ogni sorta di controllo ed è facile immaginare pure che anche le minorenni riusciranno, con facilità, ad aggirare l’obbligo della ricetta mandando qualche amica maggiorenne ad acquistarlo in farmacia.
Una considerazione particolare merita l’argomento “obiezione di coscienza”. Vi è un vuoto normativo che non tutela a pieno questa opzione dei farmacisti che si vedono, da un lato, “costretti” dal Regio Decreto 1706 del 1938 (quando l’aborto era vietato e non esistevano farmaci abortivi) a vendere qualsiasi farmaco prescritto da un medico, dall’altra possono rifarsi a varie leggi, a partire dalla Costituzione per arrivare fino alla legge 194/78 sull’interruzione di gravidanza, per difendere questo diritto ed evitare che la propria azione possa causare un aborto. In un momento in cui vi è una pressante propaganda per il riconoscimento di un fantomatico “diritto all’aborto”, sarà sempre più difficile veder riconosciuto il “diritto all’obiezione di coscienza”.
C’è anche da chiedersi se con l’autoprescrizione di un “farmaco da banco” non si corra il rischio di assumere dei farmaci anche quando non vi sia una reale necessità: come è noto non tutti i giorni del ciclo femminile sono fertili. Un affare per chi produce e vende il farmaco, un rischio inutile per la salute di chi lo assume senza motivo. Il medico, che potrebbe aiutare nella decisione, viene tagliato fuori .
Da ultimo una domanda: come vengono educate le nuove generazioni a vivere l’affettività e la sessualità? Un caotico “mordi e fuggi”, tanto il rimedio lo si trova in farmacia, senza ricetta medica?

Marco Gabrielli

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Questo l’articolo apparso su Vita Nuova in edicola il 10 aprile 2015

(I titoli sono della Redazione)

2015-04-10 Vita Nuova pagina 17 Pillola abortiva da banco