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Il 7 settembre si è tenuta una seduta del Consiglio comunale di Trieste che ha deliberato la donazione di un fondo a favore della ricostruzione di una scuola nel comune di Amatrice.

Questo è il testo della mia commemorazione delle vittime.

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Circa 300 persone hanno perso la vita in questo disastro. Fra questi 23 erano dei giovani sotto i 20 anni di cui 10 bambini sotto i 10.

Circa 4.700 persone sono assistite nei campi allestiti per chi non ha più una casa o una casa sicura.

Davanti a queste tragedie si palesano i limiti dell’uomo.

La scienza ha fatto molto, comprendendo i meccanismi che causano i terremoti e delimitando le aree maggiormente a rischio, ma non è ancora capace di prevedere i momenti in cui si manifesteranno le scosse. Nulla, ovviamente, si può fare per fermare gli eventi tellurici.

L’ingegneria è in grado di progettare costruzioni che resistono ai terremoti e a distinguere, fra quelle già in essere, quelle che non lo sono.

Non sempre, però, una situazione di rischio viene riconosciuta tale e viene posto un adeguato rimedio alla criticità osservata. Chissà quali e quante situazioni di rischio abbiamo quotidianamente sotto i nostri occhi incapaci di riconoscerle?

Fra le frasi sentite in questi giorni quella pronunciata da Sandro Pertini in analoghe circostanze (terremoto dell’Irpinia 1980) merita una sottolineatura. Cosi l’allora Presidente della Repubblica italiana: “Il miglior modo per ricordare i morti è quello di pensare ai vivi”. Dice tanto: rispetto, solidarietà e responsabilità.

Effettivamente i morti del terremoto devono essere di monito per chi resta e ricostruisce.

I “vivi” a cui alludeva il Presidente Pertini forse però non sono solo coloro che necessitano di aiuti immediati avendo perso tutto sotto le macerie.

Il sacrificio di chi è morto deve essere di monito per chi amministra per rendere sicuri, per quanto umanamente prevedibile, gli ambienti di vita, di studio, di lavoro, di svago; le strade, i ponti; l’aria che respiriamo e l’acqua che beviamo.

Come amministratori abbiamo la responsabilità di riconoscere i potenziali pericoli derivanti dalle forze della natura e dall’interazione degli stessi con le opere dell’uomo. Dobbiamo agire per evitare che le zone a rischio terremoti, frane, smottamenti, alluvioni, mareggiate possano trovarci tanto impreparati da mettere a rischio la vita delle persone.

Dobbiamo anche preoccuparci che non sia quanto costruito o prodotto dall’uomo che possa essergli di danno.

Così facendo, impegnandoci perché non vi siano più commemorazioni come questa, facendo si che il ricordo di morti a noi lontani possa influire anche sulla vita dei vivi a noi vicini, daremo un ulteriore senso alla loro morte.