Su di un caso di eutanasia
con prelievo degli organi
su di un carcerato in Belgio

In Belgio l’eutanasia è regolata dal 2002 da una legge. Si stanno però introducendo delle preoccupanti novità: lo scorso anno è apparsa sulle riviste scientifiche la notizia del prelievo di organi da destinare al trapianto da persone morte per eutanasia che avevano espresso esplicitamente tale volontà. Una notizia tenuta segreta per anni: è stata pubblicata solo nel 2011 nonostante i prelievi siano stati eseguiti dal 2005 al 2009 e non è dato di sapere se vi sono stati altri casi analoghi durante lo stesso periodo o nel periodo successivo.

E' di questi giorni la notizia, resa nota da un politico informato del fatto in modo anonimo, di un prelievo di organi da un carcerato che ha chiesto ed ottenuto di essere sottoposto ad eutanasia. Il carcerato, del quale non si sa quale condanna dovesse scontare, aveva già trascorso vent'anni in carcere per un rapimento e l'omicidio di due persone. Sembra che tutti i criteri per ottenere l'eutanasia secondo la normativa belga siano stati soddisfatti: il detenuto era affetto da una malattia inguaribile, ha richiesto più volte l'eutanasia e le richieste sono state ratificate da tre medici indipendenti. Non è noto da quale malattia fosse affetto. Questo fa pensare con sospetto alla diagnosi di ”malattia inguaribile” di questo caso e degli altri quattro casi precedenti: gli organi prelevati da persone affette da gravi malattie in fase terminale non sono generalmente idonei al trapianto.

L'eutanasia per coloro che devono scontare pene detentive è uno sviluppo allarmante dell'eutanasia stessa: in quasi tutti i paesi, Belgio compreso, è stata abolita la pena di morte. Già nel 2005 l'attivista pro-eutanasia Phlip Nitschke aveva anticipato la possibilità di introdurre l'eutanasia per i carcerati, definendola come “l'ultima frontiera nella riforma carceraria”. Introducendo questa possibilità si corre il rischio che la pena di morte venga, di fatto, reintrodotta anche per reati minori. Se è vero che per richiedere per sé l'eutanasia bisogna essere “affetti da un dolore fisico e psicologico continuo e insopportabile”, non è difficile dimostrare che la vita all'interno del carcere possa avere queste caratteristiche. Per alcuni detenuti la reclusione provoca tale dolore anche a causa della solitudine e della perdita di amicizie e delle relazioni sociali o delle continue violenze cui sono costretti ad opera di altri detenuti; il tutto, magari, nella prospettiva di lunghi periodi di detenzione. E’ possibile che un carcerato esprima più volte questo desiderio ed inoltri le relative richieste. Purtroppo non mancano medici, formati in un certo tipo di ambiente culturale, pronti ad accogliere tali richieste anche in assenza di una malattia inguaribile, magari considerando l'utilità che potrebbe derivare dal trapianto di organi così ottenuti. Inoltre chiamando eutanasia ciò che altro non è che un suicidio assistito, si eviterebbero formalmente casi di suicidio all’interno del carcere.

Non guardiamo al Belgio come un paese lontano in cui l'eutanasia è legale. La mentalità eutanasica è molto diffusa anche da noi. Chiediamoci quante persone sono già pronte a trovare dei lati positivi in questa notizia? Dimenticando il valore della singola persona, anche se detenuto per essere un omicida, si può pensare che l'eutanasia sia una soluzione vantaggiosa per lui, che ha evitato di vivere una vita senza speranza; vantaggiosa per lo Stato, che ha risparmiato i soldi della sua carcerazione; vantaggiosa per chi oggi vive meglio grazie agli organi ricevuti “in dono”.

Non possiamo dimenticare il valore assoluto di ogni singola persona umana e che ogni pena dovrebbe puntare al reinserimento sociale anche di chi si è reso colpevole di delitti particolarmente efferati.



(Inviato per pubblicazione su "Vita Nuova" settimanale della Diocesi di Trieste)


 17 settembre 2012 Marco Gabrielli

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