La propaganda per l'eutanasia a confronto con quella per l'aborto

Un copione già visto ai tempi

della campagna per l'aborto

Vi sono tante analogie fra quella che è sempre più evidente essere una campagna in favore dell'eutanasia e quella che ha portato alla legge 194/78 sull'aborto.

Di comune hanno il punto di partenza, una concezione relativistica del valore della vita: con l'aborto la donna si arroga il diritto sulla vita che porta in grembo, con l'eutanasia tutti ritengono possibile disporre della propria.

Come con la campagna in favore dell'aborto si inizia con i “casi limite” che fanno presa sull'opinione pubblica come quello di una madre di cinque figli morta a seguito di un aborto clandestino o come le gravidanze frutto di una violenza. Con l'eutanasia si sottolineano i casi estremi quali quelli di persone in stato vegetativo persistente, facendo sì che chi viene a sapere di queste persone e conosce il dolore dei famigliari si chieda se abbia senso il proseguimento di una simile condizione di vita o non sia meglio interromperla posto che chi vi è affetto non è neanche in grado di alimentarsi autonomamente. Tutte domande che creano una mentalità.

Nella campagna pro-aborto veniva affermato che le donne erano costrette ad andare all'estero per abortire: ora viene fatto pesare il fatto che chi richiede il “suicidio assistito” è costretto a rivolgersi ad una catena di cliniche svizzere per vedere soddisfatto il suo desiderio.

Negli anni '70 sono stati fatti circolare dei dati relativi all'aborto clandestino, con numeri che scientificamente sono stati dimostrati falsi. Ora si inizia a parlare di “eutanasia clandestina” e vengono forniti dati non verificati che appaiono sproporzionati al fenomeno: è facile, ad esempio, affermare che ogni anno sono 1.500 gli italiani che “bussano alle cliniche svizzere” senza aver modo di dimostrare questa affermazione. Ma intanto la cifra non confermata viene ritenuta credibile ed inizia a girare.

Quello che più fa pensare è il relativismo che sta dietro entrambe le campagne. Chi riconosce il valore assoluto della vita di un embrione o di un feto dovrebbe agire di conseguenza. Invece una strana idea di libertà fa ritenere che sia la concezione che uno ha della vita che lo rende libero di agire come crede senza che sia possibile ostacolarlo. È stato a partire da questo che la maggioranza degli italiani ha votato a favore dell'aborto al referendum del maggio 1981 e sarà così che si diffonderà l'idea che se uno ritiene di poter disporre a pieno della propria vita fino a decidere di interromperla quando e come crede potrà richiedere l'eutanasia. Così facendo, però, il valore assoluto della vita viene meno e tutto diventa possibile. Per richiedere l'aborto non sono necessarie delle motivazioni, tutto viene fatto rientrare nella “salute fisica e psichica della madre”. Quali motivazioni saranno necessarie per richiedere per sé l'eutanasia? Probabilmente nessuna per quel concetto di libertà che è fare quello che si vuole. Da questo il passo a richiedere l'eutanasia per qualche altra persona più o meno malata, più o meno anziana sarà breve. Già autorevoli personaggi, come il prof. Veronesi, teorizzano su libri ad ampia diffusione che a 50 – 60 anni le persone dovrebbero “scomparire” per lasciare posto alle nuove generazioni.

Un po' di propaganda poi farà passare anche l'eutanasia così come è stato per la legge 194/78 che è stata fatta passare come legge per la “tutela sociale della maternità”. In 34 anni, però, ha permesso l'uccisione di sei milioni (6.000.000) di bambini.

Come con l'aborto, verrà scelta la soluzione più facile ed economica. Con l'aborto si è smesso di cercare soluzioni per le madri in difficoltà e di cercare nuove cure per determinate malattie. Sarà lo stesso anche per il fine vita?

Temo che basterà attendere qualche anno per verificare se questa mia analisi è eccessivamente pessimistica.


(Pubblicato su "Vita Nuova" settimanale della Diocesi di Trieste)


22 giugno 2012 Marco Gabrielli

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